Autore: Ettore Massarese ( fu Franz)
Di limoni, di rose e di gialli selvatici fiori.
Di limoni, di rose e di gialli selvatici fiori
nel verde…
di un fogliame che sfida del grigio gli umori.
Mi dipinge il meriggio la natura resiliente
nella diffusa luce in pulviscolo evanescente.
Ah, se quest’anima potesse assorbire,
alle soglie di un piccolo morire,
assorbire l’energia che fa fremito di vento
e fare di questo sguardo sorpreso
l’inizio di un viaggio verso l’universo teso.
Di limoni, di rose e di gialli selvatici fiori,
ecco, si colorano, vaghi, i miei residui ardori.
Del dialogo con l’ombra di luce
Na’ mamma africana.
Addò sta jenne st’umanità speruta?
Nun tene freno a ‘o malo penziero
e ogne juorne è peggio d’ajere…
Ancora nce sta chi se vanta d”a pelle
come si fosse ‘o culore
nu distinguo d’ammore…
Si studiassero nu poco e’ storia
venessero a scuprì ca simme tutte
tutte figlie e’ na mamma africana.
Tenimme, vivaddio, ‘o suonne tribale
ca fa ritmo sanguigno dinto e’ vene
e pe chesto, chi se l’ha scurdato,
se move scomposto, ha perzo ‘o ritmo
e pure ll’anema nun trova cchiu’ posto.
Janco Janco, russo russo, nire nire
e nce metto pure ‘o giallo paglierino!
Quanto so belle ll’uocchie ‘e nu bambino.
Acqua a specchio.
Quanto persiste in tua retina
l’immagine di me riflessa?
In quale neurone s’annida
la memoria dei miei occhi?
O, forse, s’è mutata
in brivido di pelle,
un vagare in viaggio
d’antichi tocchi le cellule.
E queste mani che, in ticchettio,
inseguono dei tuoi occhi gli sguardi
polpastrelli memori
dei tuoi fulminanti dardi.
Questo mio corpo
è il fiume in cui ti specchiasti
acqua a specchio
che in me di luce lasciasti.
Aureole luminose.
M’è capitato di vedere,
nel notturno,
il brillio d’altre sfere.
Con la coda dell’occhio
luci farsi sostanza…
lemuri…
di una qualche rimembranza.
Sono forse sorgenti
sgorganti da neuroni inquieti
o, chissà…
folletti rifratti nei vetri,
translucide presenze
di mie creative essenze.
Queste aureole luminose
mi sono da tempo compagne
nei miei viaggi in stato di quiete,
serene oscillazioni,
memoria, forse, delle mie ore liete.
Il mio teatro/Per un monologo nel teatro vuoto.
Ultima illusione.
Questo mio scafo tocca sponde sconosciute
l’onda carezza e si ritrae nel notturno,
nel notturno d’una isola dormiente nel silenzio.
Non so darti nome ormai, terra d’approdo,
ma sento tue rocce cantare antichi miti
melodie in battito di antichi riti
e le conchiglie, molluschi sonori, suonano
la nenia in leggenda di satiri e ninfe…
Oh, eccomi , di notte, ancora smarrito,
navigare in viaggi, tra nebbie io stranito.
Dimmi, terra che m’appari in visione,
hai forse tu il nome della mia ultima illusione?
M’accosto e fuggo.
Oh di pelle in respiro sei canto di calore,
m’accosto e fuggo dolore d’amore…
M’accosto e fuggo, osceno e dolce turgore,
fiore d’aprile rosso di sole al fulgore.
Sfioro i tuoi petali d’alchemica sostanza,
mentre la distanza è faglia di discrepanza.
Ah frizione di terre e terremoto del cuore
macerie fumanti nel tramonto di un bagliore.