Ed io vi maledico.

Ed io che volevo cantar gentile,

usignolo tardo in pelle senile,

digrigno rabbia e sprezzo solenne

e di bellezza mi si strappano le penne.

E a migrare in volo per altri cieli

me lo irretisce lo stolido ragliare

d’asini imbelli dal paese dei balocchi

usciti infiocchettati e foderati gli occhi.

Usciti si dalla giostra del ludico consenso

tra un happy hour e un riso senza senso,

nel girone della Geenna inattesa,

ignavi gridano…

pavidi, che d’un complotto è l’impresa.

Ed io vi maledico, sotto questo chiarore lunare,

voi fantasmi del nulla,

testimoni smunti di questo lupanare.

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Ettore.

E Franz può svanire,

inutile orpello e velario.

So io bene perché mi fu caro,

pseudonimo di un incontro raro.

ora,

nel danzare su una soglia

di smascherarmi tenero

m’è venuta voglia…

E riprendo il nome di battaglia

quel che mi emerse al mondo

venendo su dalla dolce faglia

Ettore,

domatore di bestie e puro,

di Ilio figlio e suo usbergo duro.

Sconfitto da un eroe da accatto

a lui lasciò il disdoro

e con Omero fece eterno patto.

Ne sorrido d’orgoglio e il nome riprendo,

a petto in fuori e Franz al tappeto stendo.

Poco più di vent’anni.

Ed avevi poco più di vent’anni…

oh, di giovanezza il fulgore

fu scossa di imprevisto amore.

Ed io ti rubai il sorriso

siccome ladro che entra in paradiso

e vi ruba le campane celesti

queste erano tutti i baci che mi desti.

Fibrilla ancora veloce il mio sangue al pensiero

con le mie mani

a costruire tra i tuoi capelli il sentiero.

Oh percorro ancora le tue lunghe cosce svelte

di fianco a me nelle notti di viaggio celeste

e ne vivo il respiro e l’ansia e l’ora…

te lo dico, cara, proprio come allora.

Sangue buono.

Ho preso la mia vita e l’ho stracciata.

Frattaglie d’anima insanguinata.

Tu che ne hai raccolto i pezzi

ne hai subito l’acre veleno del bruciato.

Quel che fu amorevole cura

si fece malattia che dolorosa perdura.

Se, nella vita, fu questo lo scempio

credimi, non fu solo un atto empio,

fu d’amore un solco imprevisto,

un irrorare nel deserto dannato,

il sangue buono di un connubio mai visto.

‘O penzà carnale

M’addormo ‘a notte e quase te sento vicino respirà.

Me sceto ‘o juorno e ‘o ciato tuoio nu sussurro mme fa’.

‘O saccio è brutto si sti cose stanne sulo dinto ‘o penzà,

ma quanto è carnale nu suspiro immaginà…

Si stu bene l’e pruvato nun è sulo cosa e’ penziero

t ‘o puorte ‘mpietto sempe, ogge, dimane e pure ajere.

Pulviscolo.

Quanto invisibile pulviscolo in questa luce rifratta.

Ogni sfumatura dipinge/designa un immenso.

La brezza parla d’aria cristallina nel silenzio denso.

Oh, potrei nomarlo meriggio d’ascolto

lanciandovi un pensiero per ogni fiore non colto.

Quale farfalla in colore a fine di sua giornata,

sfioro nel bagliore ogni promessa andata…

e in questo pulviscolo, in oblio, io mi disperdo

e volo via…

salutando, libero, in sfarfallio, ciò che perdo.

D’altri poemi e canti…

Stamane passeggiavo lungo la battigia

in filo d’onda a sfiorare carezza d’acqua.

Mi sorprendo, supponente, a pensare…

A noi uomini tutto questo è dato cantare…

Stupida creatura!

E tu pensi che il balbettio di parole

o melodie che imitano disperate i suoni del mondo

siano quelle l’archivio d’ogni bellezza in profondo?

Il canto delle balene nelle notti lunari

Non è opera, forse, di natura e mistero?

E il richiamo che si ripete millenario

d’ogni specie volatile, non è canto/incanto?

E amico frena!

La biblioteca dell’infinito

è ben oltre la manifattura del tuo incerto dito.

Ascolta, senti, immergiti…

tra i suoni e i poemi di questo misterioso ordito.

 

Eremita d’un solo singolo istante.

Troppo rumore,troppo rumore…

vorrei restare

all’ombra del silenzio del mare.

Troppo clamore, troppo clamore…

vorrei assaporare

un fruscio di fronde e volare…

Il profluvio di parole

mi soffoca la fiamma d’ogni ardore.

Ah vorrei essere almeno

l’eremita d’un solo singolo istante

e nel silenzio

sentire il battito profondo del cuore amante.