Come un senso dell’arte.

Così distante, stamane, quel biancore di neve,

un orizzonte d’ondulata lontananza

incongrui venti di gelo nel sole lucido che taglia.

A volte, chissà perché, lo sguardo si fa viaggio

e tu cammini su quel filo sospeso, danzante raggio.

E sei qui e sei lì o da nessuna parte

e sei, in anima,

quadro dipinto, come un senso dell’arte.

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Inevitabile resa.

Un giorno attraverseremo il deserto cantando.

Saremo centinaia di migliaia prosciugati d’arsura,

popoli misti, un’unica specie sotto raggi di calura.

Non sarà Babele ci intenderemo in unica paura.

Sarà un canto di pianto e d’addio, rassegnato, potente.

Punteremo al Nord pregando il sole inclemente.

E nella lunga notte poseremo i corpi spossati

maledicendo la fine alla quale siamo nati.

E negli occhi spauriti indagheremo ultime luci d’amore

troppo tardi scopriremo che v’alligna solo terrore.

Abbracceremo, allora, il vicino in spasmodica presa,

un atto di pietà che addolcisca l’inevitabile resa.

Dimmi…Cosa vuol dire?

S’io vedo un sorriso di bimba

mi si illumina la mente

ed il tuo volto mi si costuma

ed è tristezza e gioia…

Dimmi…Cosa vuol dire?

Un abitino cremisi danza…

è prepotente in luccicante vetrina,

ed io lo vesto

sul tuo corpo svelto di grande bambina.

Dimmi…Cosa vuol dire?

Forse ch’io ti porto con me,

corpo/anima vagante,

fantasma carnale d’un dolente amante.

Mme si’ venuta ‘nsuonne.

‘O ssaje  ca mme si’ venuta  ‘nsuonne?

Steveme cianco a cianco, mano a mano

e ‘a strada sapeva comme fosse l’aurora.

A nu certo punto tu guidave n’automobile

nun m’allicordo ‘o culore…

ma ‘o facive cu na sicurezza

tale e quale nu gesto d’ammore.

E pigliajeme na’ scesa longa longa

curve e, luntano, nu promontorio

nu promontorio a mare…

quattro varche s’addurmevano fra l’onne

e all’intrasatta

nce truvajeme dinto a na selva e’ fronne.

Nun m’allicordo si facetteme ammore

però saccio e sento

ca attuorno  attuorno ballavano e’ culure.

Quanne m’aggio scetato

i’ te sentette affianco restanne affatato.

Lavori in corso (un frammento)

Un oceano denso di magma e mare, sotto un sole espanso in asfissia di calore e…vapori, vapori d’anidride solforosa nella nebbia densa a coprire l’ultima terra malferma… l’ultima isola…l’ultimo canto di Niima, in ginocchio, nude le lunghe cosce, sotto la volta a cuspide del tempio della memoria…facce smunte, pallide a farle coro in un lamento lungo e silente come un sibilo di vento tra le fessure…Niima, la sacerdotessa, le mani tese ad evocare la vibrazione …la subliminale condivisione…

E dalla cupola di cristallo l’eco avvolgente a scendere nelle migliaia di nicchie dove gli idola si illuminavano vibranti nel canto.

A mio figlio regista.

Nel teatro antico risonavano note potenti

gorgheggi di incanto, suoni dolenti

e tu….tu dal tuo palco giocavi di visione

assolvendo in immagini la disperazione

e dissolvendo colori truci

nella fantasmagorica  cattura di rifrazioni e luci.

Si lo so che questo è il tuo mestiere,

regalare alla retina l’artificio del tuo cantiere,

Ma stasera il tuo tratto elegante

m’ha dato gioia e bellezza straziante.

Notturno urbano (didascalia d’una visione)

Notturno urbano. Lontane sirene e scalpiccio, ombre in baluginio. Umori d’acqua, sgocciolio. Un qualche vapore che sa di nebbia. Intermittenza di lampioni. Qualche puttana in dondolio d’offerta. Qualche pausa, qualche fretta. Il notturno è per figure perse, maschere svagate per incontri fugaci. Un cantiere abbandonato è cattedrale spettrale, ferita d’asfalto. Sparuto è il verde e, nell’oscuro, trae da lui un imprevisto disperato cinguettio…sarà di fame o freddo, mentre di passi risuona un ticchettio. Notturno urbano. Dorme in abbandono la fontana sotto il faro di uno strano luccichio, paziente trattiene la lordura che galleggia. nel silenzio tutta la vita si spegne e lampeggia. Questo notturno d’ogni viandante è la reggia E sola va, regale, l’ultima ombra fugace…tratteggia le linee diafane e sfuggenti che distinguono il bene dal male.

 

 

Viaggio in opera (C.B.)

Ridipingo visioni e mi ci immergo

flussi di respiro fanno teatro

e si galleggia nell’inerzia del bello.

E ti racconto, e ti rivedo angelo ribelle

vibrazioni barocche sulla tua pelle.

Tu voli, voli e cadi e ti sfracelli

ma ti rialzi, immateriale e carnale,

corpo altro per altro, macchina bestiale.

Ti dico che la tua voce si vede,

mentre ogni tua immagine si sente.

“Da un dentro a un altro dentro” dicevi,

e il pulviscolo della tua opera in colore

graffia e segna nuovo sogno d’ardore.

Un giorno…per puro caso…

Potrei un giorno,

per puro gioioso caso incontrarti.

Ti direi: “Buon giorno,

mi pare di conoscerla!”

Oh potrai sorprenderti o sorriderne, non so,

Se di tanto saremo mutati,

potresti persino rispondermi:

“Signore, vi sbagliate”.

Ed io: “Può darsi…è che nel vederla

ho dato volto a un’emozione”

E tu: “Il passato fa brutti scherzi,

si insinua nel presente

ed è con lo stato delle cose attuali irriverente”.

“Vero”, direi, “ma non fa niente,

son quello che sono, ora, qui presente”

“Che senso ha, se non abbiamo da dirci niente?”

Così tu diresti, con un sorriso amaro,

forse con un piccolo rimorso baro

e andresti via con un “ciao” per altra via.

Ed io che so che fosti mia

seguirei, con lo sguardo, la tua cara postura

memore di quando mi fu compagna quell’andatura.