Coperta d’argento.

E’ tanto che non mi stendo sotto il cielo d’estate.

E’ tanto che non punto il dito verso astri oscillanti.

E’ tanto che non sfido l’infinito con la conta delle galassie.

Umida terra sentire il respiro mentre l’Orsa ammiro.

Dicono che con le stelle ci si orienti,

ma io mi perdo enumerando infiniti frammenti

ed il frinir dei grilli è richiamo al cielo e alle celesti menti,

mentre il notturno si cuce in volta,

coperta d’argento per mia carne stolta.

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Basta chiudere gli occhi 8

I piccoli turgori d’amori fanciulli sbiadiscono…sento l’eco dei secoli in un io che non si adatta al corpo…desiderio di fuga…Potrei raggiungere zio Mimi’ a Parigi è tanto che me lo chiede…si tu vièn moi je suis tres heraux m’ha detto l’ultima volta che è sceso a Napoli a trovare suo cugino, mio padre… Oui mòn chère oncle…moi je vièn!… E via a preparare valige…metà abiti, metà libri… zio Fritz fuori, a mano…che va letto e riletto in treno…cuccetta nella notte… ed imparo a studiare gli umani…cari sconosciuti, nel lungo rullante viaggio notturno…occhi sparsi e parole sussurrate…vite sospese nel non tempo del vagone…

I sorrisi e il chiacchiericcio si spengono nel sonno cullante del rullio…è l’alba alla Gare de Lyòn…

Ah…Paris la nuit… naturalmente Pigalle…per indurire la mia adolescenza: impermeabile alla Bogarth con bavero alzato… et voilà tra i fumi del notturno e luci soffuse sono nel film di un piccolo vizio… ordino un cognàc, pago, ma alla mancia…il cameriere quasi mi caccia:- et ce que vou fait monsieur?- è indignato per la pochezza dei franchi che la mia mano inesperta gli ha porto… ha inizio lo spettacolo ed io sono in prima fila…oh que etait tres joli la danseuse!… Oh…dio! Mi fissa! E mentre fa cadere languida il reggiseno si siede sulle mie ginocchia… e mi coccola…calore…profumo denso…l’intera sala m’osserva… e la pètite danseuse mi sussurra: –Oh que tu est mignòn!- Subito penso a un riferimento giocoso alla mia età verde… ma è zio Mimì, più tardi, a spiegarmi che mignòn sta per vezzeggiativo d’un cosa preziosa…e…preziosa mi risuona quella voce velluto…tutta la notte: -Oh que tu est mignòn…oh que tu est mignòn…oh que tu est mignòn…ed a Pigalle la ritrovo una o due mattine dopo in un piccolo bistrot saporoso di croissant…ci riconosciamo, piccola Denise…-Moi je suis tòn mignòn François… mansarda…mansarda giocosa…in una mattina uggiosa…piccola rosa. Oh, non ti ho parlato degli abissi di zio Fritz, ma del mio vago fuggire…si.

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Puntata 2. “Un monaco, naturalmente”

Un monaco, naturalmente.

Il primo approdo, dopo l’atto di pirateria del figlio, è per Settembrini in Irlanda, l’irrequieta e cattolicissima Irlanda. E, a Cobh, nota, allora, come Queenstown,una notte, in una locanda, in attesa di trovare una nave per l’amata Inghilterra, il patriota-letterato riceve una strana visita…E qui, lettore ansioso, interrompo la mia incerta ricostruzione e riporto le pagine del quaderno che ho ritrovato (dirò, certo, poi, come) nelle quali Luigi Settembrini ha registrato l’incontro con il personaggio che gli ha ‘prestato’, per una notte, l’inedito seguito lucianeo de La storia vera:

I NUOVI LIBRI DI LUCIANO

(note su di un’incredibile lunga notte)

Di Luigi Settembrini

Una pinta di guinnes e del pesce fritto mi avevano, misericordiosamente, predisposto ad un sonno ristoratore quando, nel suo inglese a forte accento gaelico, la rossa e rubiconda Susanna ‘O Grady, padrona del The Cove mi invita, dura e gioviale, ad accogliere un inatteso ospite al mio tavolo. Le chiedo sorpreso di chi mai possa trattarsi, quando lei si sposta, gentile e suadente, per far spazio ad una figura che, nel barlume oscillante delle lucerne, mi parve un inquietante presenza, figlia dell’eccessiva libagione di birra che m’ero concesso a rifugio dell’emozione per la fortunata svolta che aveva preso il mio viaggio verso la deportazione.

-Signor Luigi Settembrini?- Mi fa lui in un italiano duro quanto sguarnito di accenti. Mi riprendo, mi scuoto e metto finalmente in chiaro la figura alta e segaligna che mi sta di fronte. Un monaco.

-Si, sono Settembrini. E, voi, chi siete?- Nel dirlo sposto la lucerna che brucia nell’acre odore di olio e do luce al suo volto. Segnato da profondissime rughe si rivela un sorriso quasi amaro, doloroso, da vecchio assai stanco.

-Sono Edward ‘O Grady, fratello della padrona ed un meraviglioso caso sta intrecciando le nostre vite, questa notte.- Solo ora m’avvedo che il suo dire è agitato quanto accorato. Pur reso avveduto dai dolorosi tradimenti che la vita mi aveva fin lì riservato, mi dispongo ad ascoltare. Così, il monaco prosegue:

-Si! Un meraviglioso caso che voi abbiate scelto The Cove per la vostra ultima notte irlandese. Un portentoso caso che io, Edward ‘O Grady, sia giunto dal continente a pochi giorni dal vostro travagliato approdo su queste coste, grazie all’impresa del vostro figliolo…

– Come conoscete questi accidenti?- Mi irrito e mi appronto a ricusare ogni altra intrusione nelle mie traversie.

– Non vi dovete turbare, Signor Settembrini, noi irlandesi avversiamo i tiranni quanto e più di voi ed amiamo la libertà e la cara patria e siamo pronti al supremo sacrificio, come pure voi ne eravate pronto.

– Come siete addivenuto sì facilmente addentro alla mia storia, Signor O Grady? Io non profferii parola, qui, alla locanda.

– Ho soggiornato a lungo nella vostra amata Italia, tanto a lungo da cogliere la fama che nella vostra terra avete saputo guadagnarvi. Vi vissi dieci anni della mia esistenza e vi presi i voti da benedettino nell’abbazia di Monte Cassino nell’anno 1848, quando già, per le campagne, si vedevano passare gli eserciti al servizio dell’oppressore e si diceva della Costituzione e di un dotto che prometteva di debellare il mostro dell’ignoranza…Voi, Luigi! –

Ripresomi dallo sgomento e confortato dal naturale moto d’orgoglio, affronto, deciso il frate:

-Voi parlate da laico, fratello Edward, io ho conosciuto innumerevoli preti e frati e di rado, se non mai, li ho sorpresi ad accendersi di spirito repubblicano e libertario; m’apparite quale un religioso assai inconsueto…

Su queste mie parole lo vedo come rasserenarsi ed acquisire un inatteso vigore, una giovanezza, dispersa o raggomitolata in un cantuccio del suo animo fiero, prende corpo sul suo volto che d’un subito si fa ilare e disteso.

-Noi cattolici irlandesi diamo,obbedienti, a Roma il regno della nostra confessione, ma per la nostra terra, per il governo delle nostre genti celtiche, non riconosciamo altro sogno che la libertà repubblicana-

Ammirato da una tanto risoluta gioia civile, mi dispongo, non più difensivo,ad accogliere, amichevole e fraterno, le confidenze che il monaco freme d’offrirmi…e m’apro fiducioso:

-A che, dunque, dare del meraviglioso caso a questo nostro incontro?-

-Avete, con voi-mi dice con accento grave- il vostro amato Luciano? Dico i testi e, naturalmente, la vostra preziosa traduzione?-

Il pulsare del mio cuore si fa, in un istante, frenetico. Cerco d’istinto con gli occhi vie di fuga, guardo la distanza che mi separa dall’uscio d’ingresso e la rampa di scale che da verso le camere della locanda. Penso a mio figlio che ancora è fuori per sistemare gli affari della nostra imminente partenza e, per un attimo, mi sento perduto.

– Chi vi manda? Di chi siete al soldo?- Chiedo, pronto anche a battermi e, per dimostrarlo, picchio con impeto il pugno sul tavolo, rovesciando la preziosa birra irlandese. Lo spreco del nettare caro ai Celti e il frastuono provocato m’attirano sguardi e brusii di disapprovazione dagli sparuti avventori del The Cove.

– Sapevo che avreste reagito con apprensione a questo mio cenno alla vostra opera, ma non abbiate timore,v’ho già dato modo di intendere che non provo, certo, benevolenza per quelli che furono i vostri carcerieri.

-Eppure- incalzo – solo loro ed una assai ristretta cerchia di sodali sanno della mia fatica in carcere.-

-E questo è il punto, Luigi, perdonatemi se ormai mi concedo di chiamarvi così. Questo è il punto. Fu nell’anno del Signore 1850, un anno dopo la vostra carcerazione a Santo Stefano, che a firma di uno dei vostri sodali, appunto, tal Benedetto………,giunge al priore dell’Abbazia presso la quale io compiva il mio ufficio di frate, una missiva nella quale si chiede notizia di un manoscritto latino de I dialoghi conservato presso la Biblioteca Vaticana. Ora, Luigi, Il buon padre era a conoscenza delle mie continue frequentazioni in quella biblioteca, onde affinare i miei studi classici che aveva intrapreso fin da giovanetto qui a Dublino presso un sant’uomo ,un abate di nome Shannon, che sosteneva ch’io possedessi un gran talento per le lettere…ma vi vedo impaziente…ebbene verrò al punto-

-Ma no! Ma no!-Tento di interloquire- raccontate pure per intero la vostra istoria-

– Non abbiamo tanto tempo, Luigi, il vostro figliolo Raffaele avrà approntato di certo la nave che domani vi porterà a Londra e, dunque, ci resta solo questa notte a che io possa mostrarvi quel che ho da mostrarvi e voi possiate portare a compimento la nobile impresa che chiedo al vostro ingegno…-

Una vertigine d’agitazione e d’ansia mi prende e scruto il monaco che adesso, lo veggo assai bene, ha fatto gl’occhi da furetto. M’avvedo della mia bocca spalancata dallo sguardo compiaciuto del mio strano visitatore, lo sguardo di uno che s’attende proprio quella reazione…Non mi resta che prendere in mano il gioco, per dignità, almeno. M’ero lasciato portare a ballo per troppa pezza…

-Al dunque! Frate, il priore vi affida la missione alla Vaticana, voi la portate a compimento, l’ho avuta, infatti la copia, suppongo da voi trascritta,de il Latino de I Dialoghi , ed oggi, questa sera, m’è data l’opportunità di dirvi il mio grazie; ciò spiega a iosa le notizie che possedete sul conto del mio Luciano…e certo è questa una ben fortunata coincidenza che mi onora e che mi dà , lo ripeto, la possibilità di incontrare uno dei miei benefattori…in quanto all’impresa che mi chiedete, temo che il ritorno, a breve, del mio amato Raffaele mi costringerà a sistemare in gran fretta le mie cose e ad apprestarmi alla partenza, e pertanto, mio buon amico…

-Alla Vaticana non rinvenni solo il Latino de I Dialoghi, bensì pur anche un originale greco che un amico Gesuita, di cui non posso farvi il nome, avea preservato, sottraendola alla cura dei suoi superiori, perché s’era fatta la convinzione che l’avrebbero sottratto al mondo e alla sana curiosità degli studiosi…

– Un originale greco di chi?-

-Ma del nostro amato scrittore di Samosata, naturalmente!-

-Bubbole! Fratello Eduardo, bubbole! E poi, nel 1850 Luciano era ben noto agli studiosi e non v’era cagione alcuna di nasconderne un originale!-

-E’ che, mio buon Luigi, questo originale non appartiene alla produzione nota di Luciano, o, meglio, s’affianca alla produzione nota, ma è come se la sconvolgesse integrandola…insomma, un sogno, una visione, una profezia!-

-Ecco, lo sapeva bene io! Questo gesuita vi tirò un bello scherzo, gabbandovi, magari un Luciano cristiano-

-Vi sbagliate, Luigi, il gesuita sapeva bene che quel testo che m’affidava non avea nulla a che fare con nostro Signore…perché, è tempo che ve lo sveli, trattasi dei libri III e IV de 

-Ma Luciano non li ha mai scritti quei libri! La sospensione del racconto fa parte del suo gioco…-

-E’ quel ch’io dissi al mio amico gesuita finché non fui davanti alle pergamene laboriosamente ripiegate più fiate a formare i sedicesimi e scritte in recto e verso sul pelo e sulla carne. Potemmo metterle a confronto con alcuni rari autografi e so bene io come mi tremavano le mani e le ginocchia nel vedere corrispondenze e ripetizioni di grafia di immancabile e dura evidenza.-

-Amate Luciano fino a ripeterne le fascinose menzogne, mio buon frate, e seguiterei questo giuoco d’invenzione letteraria se non cascassi dal sonno…chi sa? Un giorno potremo rincontrarci a riprendere a fantasticare del nostro autore, dei suoi nuovi libri Delle Verità. A momenti Raffaele farà rientro e potrebbe rimproverare suo padre d’aver vegliato troppo a lungo…-

-Dovrà accettare che suo padre vegli l’intera notte perché solo questa gli è data per vedere, toccare e tradurre nel suo bel idioma il Luciano ritrovato-

-Voi siete un gran matto, frate Eduardo!-

Qui le note di Settembrini presentano un interruzione. I fogli del piccolo quaderno nero (che di un piccolo quaderno nero si tratta), recano segni di indecifrabili cancellature. Qui e lì s’intravedono talune parole e frasi sparse, come “la mia imprudenza è pari alla mia sfrenata curiosità”; o, ancora: “sull’incedere del monaco, in questa incredibile notte irlandese, io mi chieggo …” …; più avanti : “ Il pensiero di Raffaele e del suo timor panico d’avermi ancora una volta perduto”. Quel che si intende è che frate Edward dovette aver convinto il Settembrini a seguirlo in un qualche altro luogo lontano dalla locanda, forse un capanno, o una piccola abitazione in legno non lontano dal mare e ciò si evince da taluni passaggi delle pagine successive, dove il racconto riprende fluido:

Tenete discosta la lucerna, ché la carta pergamena può subirne danno- m’intima il frate premuroso-

-So ben io quel che mi faccio, Eduardo, non è certo il primo di questi gioielli che mi viene tra le mani!-

In quel piccolo, povero ambiente dove non v’è altro che un tavolaccio di pino vecchio e una branda, veggo ora a me dinanzi l’opera di quel diavolo di un Prometeo. Per antico fiuto, che solo noi filologi abbiamo, intuisco subito che il frate non ha mentito. La carta pergamena non è falsificata ed i tracciati delle lettere greche sono assai simili,anzi identici a quelli che m’era, per fortuna e ingegno, capitato di vedere. La cura della rilegatura mi pare assai più tarda, fattura da XIII secolo, simile a certe opere d’ingegno libraio care ai maestri di Tivoli e non manco di rilevarlo all’attenzione del monaco.

-I miei fratelli benedettini, in Santa Maria Maggiore, aveano l’uso di preservare i quaterniores più antichi con la pelle conciata in grado di proteggerli dall’umido e dai repentini cambi del tempo…-

-Dunque anche voi pensate che provenga dal monastero di Tivoli?- Nel dirlo prendo, amorevole, tra le mani il prezioso libro e lo rigiro delicato, come volessi io che mi vibrasse ancora della mano del suo fabbro…

-Anch’io vorrei che mi parlasse- mi fa Eduardo con un blando sospiro- ma m’è d’uopo rammentarvi che non ci resta che questa notte per la traduzione e…

-Potrei pur ben rimandare la partenza!- interloquisco spazientito…

-Non io, Luigi, non io. Quel buon gesuita, che mi pregò di tenerlo, ora me ne chiede l’immediata restituzione, mi dice, in una missiva che proprio ieri mi giunse, a pena della sua vita! E già m’apprestava, dolorosamente, ad anticipare il mio ritorno a Roma, quando è avvenuto il miracolo del nostro incontro…

-L’ immediata restituzione, per che farne?

– L’avete bene inteso: il libro ha da sparire.

-Potevate copiarlo.

– E lasciare in giro per il mondo la prova che condannava, tradendone la fiducia, un buon amico? No! Ne pur anche il nostro amato Luciano potea spingermi a tanto…

– E dunque, allora? A ché lasciare a me questo fardello?

-Perché so che voi, Luigi, da onesto patriota e letterato mi darete solenne parola di tenere da conto il quaderno su cui, frenetico, già state scrivendo e su cui riporterete l’opera. Farete in modo che esso sia ritrovato in un tempo a venire, un tempo forse più pronto a ricevere il fuoco profetico che queste Storie Vere serbano.

-E se me lo ritrovassero indosso?

-Direte che è opera del vostro ingegno scherzoso, che avete voluto fingere un Luciano, come avete già finto un Aristide di Megara.

-Pur anche questo sapete?

-Molto cercai di voi e molti incontrai che v’avevano conosciuto e non di meno arretrai dall’interrogare taluni vostri compagni di cella.

Arrossisco di rabbia e sconcerto per il mio pudore intimo violato, e il moto incontrollato di questo sentimento si legge patente nel mio volto, nel mio sguardo.

– Non so null’ altro che di un quadernetto e di un titolo assai affascinante, I Neoplatonici mi pare…-

– Quel quadernetto è andato perduto!

– Capisco…, ma è tempo che mi diate la vostra parola, com’io v’ho or ora dimandato.

Messo sì duramente alle strette, giuro e prometto al frate quanto mi ha chiesto e m’accingo a compiere l’impresa, quando, nell’aprire il recto del tabulato I, un improvviso colpo di vento spalanca una finestrella che affaccia verso la spiaggia, lasciando penetrare in questo strano capanno il mugghio del mare. La lucerna si spenge e le antiche carte prendono a vibrare. Non foss’io un loico ed un laico convinto, lo prenderei quale un presagio, un segno d’oscura accoglienza nelle visioni nove di Luciano.

– Proteggete il manoscritto, Luigi!- Mi fa il frate mentre corre a chiudere l’importuna finestra e provvede a riaccendere la lucerna .-Perdonate il disagio per questo luogo inusuale, ma esso è l’unico refugio che ci scampi dal manifesto accorger de le genti- mi dice in una improvvida citazione petrarchesca che richiama inevitabile un mio sguardo in tralice. Mi prende, a questo punto, una sorta di timor panico, una sgradevole sensazione d’esser straniero a quel luogo, a quell’ uomo. Sono pronto ad abbandonare questa assurda contingenza nella quale mi son impegolato, quando le lettere rosso fuoco, quasi carmiglio, che segnano la titolatura del foglio uno recto, mi riconducono, d’un colpo nel vortice che m’aveva spinto sino a quel punto.

-Silenzio, ora!- Urlo quasi in farsetto- E sia!-

Traduco, traduco, traduco ed il rammarico di non aver tempo né modo di riportare almeno frammenti dell’originale, è vinto dall’incredibile materia dei nuovi libri di Luciano…

Qui, il quaderno reca un foglio pieno zeppo di tentativi di trascrizione evidentemente riferiti alle dimensioni e a una più accurata descrizione del manoscritto, ma appaiono delle cancellature così fitte da impedire di leggervi al di sotto; a tratti si intravedono parole sparse quali palinsesto, o rilegatura bizzarra, tentativi di misurazione con l’indicazione mm di subito seguita da uno scarabocchio veloce. Insomma resta evidente che fratello O’ Grady deve aver proibito ogni precisa descrizione filologica dell’oggetto. Poi dopo un intervallo d’un altro foglio bianco…

Continua… Seguici nelle terza puntata…

Puntata 1: “Delle Storie Vere”

Il Luciano ritrovato.

Delle storie vere. Cenni preliminari.

Che La Storia vera potesse avere un ‘seguito’ era assolutamente impensabile, nonostante la promessa fatta al lettore dallo stesso Luciano in chiusura del libro II, tanto più che le fonti cui la filologia lucianea fa riferimento non vi fanno cenno alcuno1. Il ritrovamento è ancor più sorprendente perché ci restituisce un’opera sostanzialmente integra, una sorta di ri-apparizione prodigiosa che pone infiniti problemi e per la collocazione nella ‘fabbrica’ degli scritti di Luciano e per il significato stesso che l’autore, accorto inventore di generi, intendeva dargli. Si tratta di una palinodia? Doveva succedere al classico che conosciamo? Ma andiamo per ordine. Io non sono un filologo, tanto meno un grecista, il mio lavoro non si esplica nell’indagine inesausta su antichi reperti testuali né conosce l’eccitazione di una traccia labile custodita in una fonte che rimanda ad altre fonti, scrittura di scritture che costruiscono il ponte ininterrotto di un continuum spazio-temporale altro. Viene alla memoria, quale esempio forte, il brillio degli occhi e la grinta infantile da duro che accompagnavano il grande Marcello Gigante quando accennava alla probabilità, assai alta, di rinvenire il manoscritto originale del De rerum natura di Lucrezio portando a termine gli scavi nella villa di Pisone ad Ercolano; avesse potuto, Gigante avrebbe provveduto con le sue mani, le sue unghie. Ora, ne siamo certi, nell’altro tempo concesso ai grandi starà chiedendo conferma della cosa a Lucrezio in persona. Ma il lettore impaziente o lo scienziato della letteratura che sta seguendo, con malcelata ansia, le piste di queste note si starà chiedendo: “Ma quando arriva al punto questo divagante intruso? Quando si decide a darci le prove della autenticità del testo e, soprattutto, quando si decide a dirci come gli è giunto tra le mani?”. Buoni! Buoni! Ci siamo. Il ritrovamento. Partiamo dal ritrovamento. Intanto dovrei dirvi di Luigi Settembrini. E’ lui, come è noto, il primo vero e sistematico traduttore moderno di Luciano e la sua opera non è solo di grande impegno, ma pure di attenzione stilistica e cura filologica, due elementi che hanno garantito al Luciano di Settembrini una vita lunghissima. Settembrini attese alla sua fatica tra il 1849 ( anno della sua carcerazione a Santo Stefano) ed il 1859, anno in cui riuscì a sfuggire ai suoi carcerieri durante un trasferimento verso le Americhe, grazie al rocambolesco dirottamento della nave ad opera del suo primogenito. E la fuga, o, meglio, il percorso e gli incontri che si intrecciano intorno alla fuga, sono lo scenario cui far riferimento per spiegare l’incredibile scoperta. Si sarà inteso che il manoscritto è nella traduzione del grande patriota; egli ne è venuto in possesso (provvisorio, come vedremo) dopo il decennio di carcerazione e comunque, di sicuro, durante la sua breve permanenza in Irlanda. Perché non l’ha poi inserito nel corpus della sua edizione lucianea del 1861? Questione non irrilevante e forse legata alla natura del manoscritto. Ma andiamo per ordine. Come è finito tra le mani di Settembrini e, soprattutto, come è giunto a noi e perché dopo tanto tempo?

[Continua nel prossimo articolo… Seguici!…

Note alla prima puntata:

1Cfr N. De Tombis, La Storia vera “inconclusa”. Una scelta retorica? In “Philological book of ancient Greek” n.323, anno XXII, Chattanooga, 1890, pp. 1012-1025. Sul tema De Tombis argomenta: “Non escludo che Luciano accennando, nell’ultimo frammento del Libro II, ad un approdo in una terra oltre oceano, facesse sfoggio di una discreta conoscenza del globo terracqueo. Ma, intanto, intorno al Nuovo Mondo, nulla poteva lasciargli intendere che questi fosse abitato o che quelle terre potessero ospitare genti su cui lui potesse esercitare il suo spirito dissacratore. Dovette sembrargli più adatto lasciare alla deriva i suoi naufraghi, ebbri di avventure impossibili, come sospesi nel tempo incerto delle sue meravigliose fandonie”, ivi, p. 1015. In un certo senso d’altro avviso appaiono le riflessioni di M. Melacanto, il quale perentoriamente afferma: “Luciano abbandonò l’opera perché ormai sazio d’aver espresso tutto l’armamentario menzognero di cui era capace. Era inquieto il nostro Luciano di percorrere altre strade, oltre il genere sperimentato, altri stili; in somma l’autore dei Dialoghi s’era concesso con la Storia vera una breve vacanza, un esercizio ludico da abbandonare alla prima svolta narrativa possibile, come di fatto, è avvenuto”, in La Storia vera : tra vacanza intellettuale ed esercizio retorico, in “Annali dell’Accademia dei Filologi certi”, n. 1, anno I, Canicattì, 1924, pp. 3-22; la citazione è tratta da pag. 5