Strane voci.

Dentro il fruscio delle foglie di notte

s’annidano strane voci

sono anime notturne di vite precoci.

I non nati soffiano tra i venti

della non vita vivono scontenti.

Oh il dolore strappato dai ventri

di madri smunte di violenza piangenti.

Oh io li ascolto, dolenti violini,

son voci flebili pianti bambini…

Io non canto sdegno d’aborto

canto il dolore di chi subisce

in vita da antro oscuro un torto.

Oh donna che madre non sei

sappi

ch’io sento le voci nei sogni miei,

nella notte tra i venti,

quando dal freddo digrignano i denti.

Ti sia carezza il doloroso canto

dirò alle voci

di mutarsi in un dolce accanto.

Eppur si muove.

Hai mai provato al buio

ad inseguire ombre fugaci?

Nella notte dei sensi

accesi, vivi e procaci?

Altre pelli di velluto sono i baci

e tu sussurri e tocchi…

luminose fonti d’orgasmo.

Hai mai provato

a spostare del sogno la chiave

in altra stanza?

Padrone del Rem se hai baldanza.

Hai mai provato a galleggiare

tra qui e un non dove?

Se d’amore muori… eppur si muove.

In tondo, in tondo…in tondo.

Sai? C’è una zona nel silenzio

cui si accede

se sai chiudere gli occhi intenso.

E viaggi in sfarfallio semioscuro

in quel dove se fai degli occhi muro.

Non solo distogli lo sguardo,

ma lo occludi

e il tempo s’allunga e si fa tardo.

Si fa il buio della cecità dell’istante

quella che dà la dimensione danzante

in tondo, in tondo…in tondo

e sfori,

in vertigine, i confini del mondo.

Uno strano richiamo.

C’è tra le strie del tramonto uno strano richiamo

un, come dire, un colore svanente e lontano…

Lì dove curva il pianeta regalando l’ultima luce

v’è quasi una voce un canto che a qualcosa conduce.

Oh, la mania di sfidare i confini…

regala ai sensi vibrazioni sopraffine

immaginandomi viaggiare su tangente di fuga

lì dove cade il Sole

e parte il canto che a quella m’adduce.

Imago.

Imago si insinua nella rete del mio vedere

si insinua nuda potente e fiera

di tra il fogliame di questa tenue sera.

Essa è dinamica come lo spirito di un viaggio

binari notturni e tanto tanto coraggio

è uno sferragliare distanze lontano dall’oltraggio.

L’antico treno dondola sonnolenze

sorrisi e brividi di intraprendenti partenze

e te ed io verso il Sud delle magniloquenze.

Imago cara, mnemonica persistenza,

il notturno che avanza me ne dà immanenza.

Inutile.

Come appare inutile questo vagare di pensiero,

il corpo va dove non tocca il vero.

Fragile e impervio è figurare in mente l’istante

non è pelle, non è carne, non è cuore amante.

E mi fa ridere

l’orgoglio del potere del pensiero

esangue e vacuo e solo il tatto è veritiero.

Sfiorami, ti sfioro…ed io vibro in vero

il resto è solo memore dolore…

al corpo e alla carne insincero.

Di Sole fulgore.

Vorrei cantare in colore

questo di Sole fulgore.

Dipingere immerso

nello sfavillio dei pigmenti di luce.

Io parte…

Cromatura di parole giocose nel vento

qui lì, altrove, lieve tra le fronde lievi

respiro io stesso in quel soffio…

Ah, natura, divina immanenza,

dammi la chiave di te appartenenza

come quando, da bimbo stupito,

assaporavo l’ebrezza di un prato fiorito.

E fa ch’io muoia

in questa rifrazione di immenso

in un viaggio d’altrove…

d’altre promesse e colori denso.

Eppure viaggerò…

Eppure viaggerò…

Io passeggero di questo pianeta rotante

che ad ogni tramonto

avverto la trottola viandante.

E m’affaccio, ora, al comparire della luna,

affascinato tra i crateri e la bianca duna.

Eppure viaggerò…

Fa esperienza il mio occhio di Vespero lucente

luce d’annuncio tremula è il pianeta ardente.

Piccola particella, del cosmo invaghita,

si fa salvezza del viaggio la vaghezza infinita.