Naufragio cosmico.

Ti porterò altrove,

oltre il confine siderale

e il florilegio dei miei versi

sarà carburante dell’astronave.

E i corpi amanti, al ventre,

saranno attrazione gravitazionale,

naufragio cosmico, nel mare stellare.

Ecco, vedi cosa mi fa dire

questa sconfinata follia,

ombra di un doppio che blatera fantasia.

Ora avverti il rollio del razzo….

possente è la spinta di questo cuore pazzo.

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Tra Valchirie ed altre storie.

Ruggisce fiero, rampante il mio pensiero

fra tocchi d’armonia con occhi di sparviero.

E viaggio, mi insinuo, tra luci d’artista

mentre dentro mi risuona di Wagner la cavalcata

ed il frenos sconosciuto e divino m’avvampa.

Entrerò a passi felpati nel cielo di volta occhi sbarrati

e so che il pensiero si farà parole di fiamma

gioco d’amplesso evocando divino dramma.

E tu racconta…

Raccontami una favola,

prima dello spuntare del sole

e fallo mentre mangi le belle more.

Ah, quel bel frutto succoso

succoso di rosso ti farà la bocca

si’ da incantarmi al tuo muover di labbra,

prima che di rosso si tinga l’alba.

Io mangerò del buon pane caldo,

caldo di vino grezzo e asciutto

che mi sopisca la veglia verso la porta del sogno.

E tu racconta…

Racconta di metamorfosi amorose

di magiche e pinte pietre preziose,

di incredibili pulci ammaestrate

e di dorate cerve nel bosco fatate.

Ed il sogno sorgerà col sole d’oriente,

più vero del vero

ed io, tranquilla, non ti chiederò più niente.

VOCI (Dal mare alle sponde)

VOCE 1:

Dall’australe al Boreale

ho visto mutare la volta stellare,

oltre l’equatore verso il deserto

ho sognato…

sponde di un nuovo mare aperto.

VOCE 2:

Dal Sole nascente al Sole morente

ho sognato

il dorato brillio del tramonto d’occidente.

VOCI:

Oh del mare noi dispersa gente

vuotiamo le sacche e dei viveri niente.

A piedi nudi in questo nuovo inferno umano

assaggiamo

il ghigno sghembo d’ogni sguardo urbano.

Eppure nel cristallino asciugato dal vento

chi vuole può leggere la storia del nostro avvento.

Da una madre terra d’arsura prosciugata,

da detonazioni d’ombra devastata,

diveniamo anima espulsa d’ogni civiltà derubata.

VOCE 3:

Io ho lasciato il mio corpo alla deriva

ed ora assaggia il mare il mio puzzo di stiva

galleggio, poi sprofondo gonfio

ma dall’abisso non s’ode il tonfo.

VOCI:

Oh antenati naviganti e migranti

smuovete

dalle tombe l’ossa di salsedine grondanti

risuonate d’orchestra le vostre carcasse

si’ che il mare ne rimbombi deviando l’asse

deviando l’asse di questa terra malvagia

inospitale madre di noi gente randagia.

Come Alatiel

Come Alatiel potresti anche attraversare mille corpi

ma restar pura del tuo candido valore,

come quando t’accovacci, pensando amore,

pensando amore sulla riva del mare,

china di luce adolescente che ancora si chiede dove andare.

Come Alatiel potresti esser stata nudo pasto

ma il tuo di bimba turgore, tutto integro è rimasto.

Ed io ti canto, come t’avessi appena incontrata,

aspra di inquieta bellezza, mia donna amata.

Un esercito di guerrieri.

Un esercito di guerrieri s’agita tra i miei voleri

e sono sanguinose battaglie

della mia anima tra le frattaglie.

C’è chi vuole e chi disvuole.

C’è chi parte lancia in resta

ad affrontare delle paure la foresta,

chi, invece, difende cupo la trincea

e resta fermo in attesa dell’alta marea.

Ed io, generale esautorato,

resto lì a guardare il conflitto dissennato,

mentre, in questa zuffa indecorosa,

vedo cadere, ad uno ad uno, i petali d’ogni rosa.

Oh, fiore splendido del mio abitare,

traimi fuori dalla guerra di questo stare.

Confine d’altrove

Oh, m’attenui l’urlo della bestia

piccolo dondolo del mio giardino.

Hai un potere, penombra serale e di verzura,

il potere di lenire l’inquieta onda di paura,

paura di follia e di ostinata masseria di violenza

mentre il respiro

ch’io mi prendo, grazie a te, me ne fa assenza.

Ed io allora, ti eleggo confine d’altrove

di natura bolla dove vedo d’altri mondi il mio dove.

Il segreto d’amore.

Oh si che mi da allegria il segreto d’amore,

non si svende non si urla per la via

si tiene fermo nell’anfratto del costato

pensiero immenso nel respiro dell’amato.

No, non lo chiamo scrigno o diamante

lo chiamerò raggio di luce sognante

e, di notte,

quando filtra pallido il chiarore lunare,

lo condividerò,

brillando, con chi so che è giusto amare.

Basta chiudere gli occhi 16

E sul lungomare calmo m’attardo e lo sguardo tende lungo il confine del pendio del monte…viaggi… Scorrono bimbi nel silenzioso fruscio rotante delle biciclette, in svagati atletismi qualche adulto corre…non ne invidio la fatica e m’accendo un’immorale sigaretta con aria di distacco, contaminando salsedine e nicotina nello stordimento del tramonto. Non cerco nulla se non uno stare poco ingombrante, quasi fossi fantasma ospite nel brulicare dell’avveniente sera e m’è caro e conferma il non ricadere su me di alcuno sguardo…Vedo vite, pur’anche quelle dei piccoli pesci che irridono le disperate esche di tardi pescatori sugli scogli, ma, forse conta solo l’attesa ai bordi dello sciacquio delle acque…anche io sono forse pescatore…pescatore senza lenza né canna e la mia esca è solo il richiamo d’altre visioni, nella bolla di silenzio del mio lungomare… Lì, lì giù il profilo di donna riversa dell’antica isola mi rammenta il mito delle acque mortali di Sirene smarrite in inascoltati amori e giunte esauste a morire su queste sponde…e le Platamonie, poco distanti, sono arca magica, antiche tombe…e guardo il castello, Megaride fortezza d’altri miti, d’altre bellezze…e vago, viaggiatore del tempo…basta chiudere gli occhi… e li apro al mare…Venezia…

Venezia I

Mentre arpeggio canzoni d’amore assiso sugli scalini di fronte San Marco, M. , col cappellino, raccoglie fondi con la sua aria furbetta di pietà vestita…s’avvicina e mi sussurra: -abbiamo fatto ventimila!- Ebbene che ne facciamo? Intanto mentre ci si pensa abbordiamo una mostra d’arte contemporanea e ci sediamo nel salone di fronte ad una tela enorme , saranno un otto metri per quattro…ci prende…ha la potenza di un fiammingo: allegorie demoni, figure in dimensioni paradossali…lo dico ad M. Che sorride, ma non mi risponde….mi fa eco, invece, un’altra voce:- Grazie! Cito, si, ma poi vado oltre se guardi bene, i colori vanno in un pastello che espande luce dapertutto, non c’è orrore o monito, ma pace…- Mi giro per assentire…è l’autore Carlo M. …Oh Carletto, amico caro (ma questo dopo…m’è scappato)… Carlo M. Affonda con noi in viaggio pittorico senza fine che prosegue tra le calli e i ponti sino al suo studio alla Giudecca, dove ci invita a restare…bastano due brandine e tutto il tempo che vogliamo…e la mia prima notte alla Giudecca è ad osservare il Canale dalle vetrate fumèè dell’Atelièr di Carlo…e prende a piovere, fitto fitto nel rumore giocoso del tetto a lamiera ondulata…è un viaggiare felice…è un viaggiare felice…

Titoli di coda

Pallido bianco sul nero cupo

scorrono tragici titoli di coda:

se i tuoi ricordi sono un  incubo feroce

sola…

ti resta l’angoscia d’una memoria atroce.

Io no, nel lieve vento del meriggio, canto,

canto ogni istante del nostro viaggio amante:

Canto i cieli e gli abissi, di noi complici,

complici fieri di penombre e interstizi,

di fanciulle mani e di perversi languidi vizi.

Canto il trasalire del sembiante,

caro…

caro di primo insperato bacio tremante;

e canto i sussurri lungo i fiumi d’arcano,

quando, di nascosto, vibrante, mi stringevi la mano.

E scorrono, cupi, pallidi titoli di un tempo finito,

mentre urli e condividi il rancore d’un io smarrito.