De profundo amore.

Vieni a visitarmi laddove neanch’io arrivo.

Potrai, forse, spaventarti,

per qualche demone con cui convivo…

Ma se il tuo sguardo farà luce profonda

di sopiti angeli udrai il canto in onda.

Come tu possa

trovare la chiave per un degno accesso

è un lungo, laborioso, costante processo.

Ma se davvero sei disposta al viaggio

non ho bisogno di prove…

hai d’amore profondo il coraggio.

 

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Nella caverna di Orfeo

Notte di viaggio senza tempo…

Nella caverna di Orfeo s’odono canti

è dolce il richiamo al sogno d’oblio.

Oh, svanisce questo ruvido io

e in moltitudine vola l’anima

vola pura su sentieri d’argento

e sfiora lieve

una comunità senza tormento.

Fermati.

Ascolta il canto antico e nuovo

di mutazione e di rinnovo

è un canto d’amore in poesia

immemore, celeste melodia.

Ne piansero gli dei prima di svanire

ascoltalo, ora, del mondo all’imbrunire.

Memoria d’una apocalisse.

Siamo più di mille tra la battigia e le onde,

mentre il sole tramonta, disco immenso e rovente…

siamo più di mille io e la mia gente…

non c’è scampo alla rovina…

per me e la mia gente la fine s’avvicina.

Officiammo al tempio l’ultimo rito

per affidare al mare il nostro grido…

Ed il grido si fa ora canto di memoria

che affida al tempo la nostra storia…

Fummo, noi, popolo uno e potente,

connessi noi mente per mente

e presto saremo una marea assente.

Ecco eleviamo ora il canto disperato del morente

affidando ai corpi muti del nostri lari

gli ultimi pensieri cari.

Costruimmo città ardite,

guglie e volte infinite

fatte polvere al calore

di questo sole che ora muore…

Acqua d’altrove.

Socchiuso ho le palpebre

ed ho visto il mare…

Nell’ondeggiare impetuoso nuotavo.

Riaperto ho gli occhi

il cielo bianco sfondava il soffitto.

In questo gioco di veglia

ho richiuso allo sguardo il sipario

ed ho visto scorrere un fiume.

Dio che pace!

Dolci sinapsi di viaggio felice

l’acqua d’altrove è di mia vita nutrice.

Come un senso dell’arte.

Così distante, stamane, quel biancore di neve,

un orizzonte d’ondulata lontananza

incongrui venti di gelo nel sole lucido che taglia.

A volte, chissà perché, lo sguardo si fa viaggio

e tu cammini su quel filo sospeso, danzante raggio.

E sei qui e sei lì o da nessuna parte

e sei, in anima,

quadro dipinto, come un senso dell’arte.

Inevitabile resa.

Un giorno attraverseremo il deserto cantando.

Saremo centinaia di migliaia prosciugati d’arsura,

popoli misti, un’unica specie sotto raggi di calura.

Non sarà Babele ci intenderemo in unica paura.

Sarà un canto di pianto e d’addio, rassegnato, potente.

Punteremo al Nord pregando il sole inclemente.

E nella lunga notte poseremo i corpi spossati

maledicendo la fine alla quale siamo nati.

E negli occhi spauriti indagheremo ultime luci d’amore

troppo tardi scopriremo che v’alligna solo terrore.

Abbracceremo, allora, il vicino in spasmodica presa,

un atto di pietà che addolcisca l’inevitabile resa.

Voce nel tempo

Se questa voce mia potesse galleggiare

galleggiare sulle onde del tempo,

in sinusoidale danza

vibrazione lunga a distanza…

Ah, se potesse l’armerei di mille melodie

come un canto d’antico richiamo,

sino a te, infante benedetta…

un canto magico e arcano

piano piano ti porterebbe per mano,

mentre cresci di vita l’avventura,

sino a me…

e così di perderti non avrei più paura.

Na nonna nonna…

Quanne t’adduorme te faccio na nonna nonna

Siente che note ca nce metto:

‘O sciacquio dell’acque ca c ‘hanno visto assieme,

‘o sibilo in canto d”o viento e’ muntagna

ca nce refrescaje ‘a faccia ‘ncoppe ‘a torre sulagna.

‘O tron tron d”e treni d”e viaggi cchiu’ belli

e d”a facciata d’a chiesa antica…

t’allicuorde e’ campanielli?

E po’… e po’…

miettece e’ sussurre scuonce e’ l’ammore

‘a nenia doce d”e suspire e’ calore…

Ecco l’incanto ca comme na nonna nonna te canto

quanne t’adduorme fanne musica e no chianto.

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